Lucca e il Volto Santo
di Amedeo Guidugli
Dopo un periodo relativamente lungo di decadenza sociale ed economica si assiste, dall’XI secolo in poi, ad un rinnovato vigore che caratterizza molti aspetti della realtà urbana di Lucca e del territorio circostante. Qui, più che in altri centri della Toscana, tale energia è resa particolarmente evidente dalla crescita demografica, dall’incremento delle attività commerciali, dalla nascita di specifici settori manifatturieri e dal consolidarsi di un’economia monetaria, di cui la città andrà fiera per tutto il medioevo, ma anche nei secoli successivi. La lavorazione della seta e quella della lana (materia prima, questa, proveniente direttamente dalla valle del Serchio) permettono alla città di sviluppare i propri commerci e di farsi conoscere sia in Italia che all’estero. La produzione locale, fatta di broccati, velluti e damaschi viene esportata un po’ ovunque, mediante una sorta di monopolio che si estende sia nell’Italia centro-settentrionale che in una parte dell’Europa occidentale.
Scrive I. Del Punta: “(…) una serie di elementi inducono a ritenere che proprio nel corso del XII secolo abbia preso corpo e forma quella che nel secolo successivo sarà una vera e propria industria tessile, anzi la più industria tessile della città (…). I mercanti lucchesi presero a viaggiare frequentemente anche su lunghe distanze, non solo all’interno della Toscana o nelle regioni vicine, ma anche oltralpe, alla volta della Francia, lungo itinerari misti, terrestri e fluviali, e per mare in direzione dell’Italia meridionale, verso la Sicilia, la Campania e persino il Maghreb” (1).
Anche lo sviluppo della politica creditizia porta i banchieri di Lucca ad avere contatti con i potentati d’oltralpe e ciò in conseguenza del fatto che la zecca comunale è in grado di coniare una propria moneta con la quale i mercanti del luogo, attraverso il cambio, possono commerciare con l’estero. Quella di Lucca è stata una delle cinque zecche che battevano moneta sotto gli imperatori del periodo carolingio e post-carolingio e si collocava subito dopo la zecca di Pavia. La moneta lucchese, il lucensis, circolava in Italia fin dal medioevo ed era scambiata sia nel bacino del Mediterraneo che in molte regioni dell’Europa continentale. Solo la valuta pisana riuscirà a far concorrenza diretta a quella lucchese ma, nel 1181, dopo trent’anni di competizione, le due città stipuleranno un trattato di pace e poco dopo troveranno un accordo anche sulla questione monetaria. Nell’arco dei successivi quattro anni, Lucca, Pisa, Firenze e Siena adotteranno la stessa intesa per condividere una moneta comune.
La posizione di prestigio assunta da Lucca nell’alto medioevo e mantenuta per secoli ancora, fino alla formazione del Comune guelfo, trae origine, essenzialmente, dal ruolo che le avevano assegnato i Longobardi dopo la sua occupazione, avvenuta intorno al 570. Gli stessi l’avevano prescelta come sede abituale del re facendola diventare la capitale dell’intera Tuscia a scapito, ovviamente, dei ducati di Firenze e Pisa. Questo titolo le era rimasto anche successivamente, quando alla dominazione longobarda era subentrata quella carolingia che, sostituendo i duchi ai conti, aveva trasformato Lucca in capoluogo del marchesato di Toscana (2).
Il secolo XIII appare sicuramente il più vitale per la città di Lucca sia per le nuove iniziative industriali e artigianali sia per quelle a carattere commerciale che, di giorno in giorno, vanno sempre più accentuandosi, tanto da rendere quasi insufficienti gli approdi del litorale versiliese, fra Quiesa e Montramito. Come sottolinea A. Mancini, quello fu ‘il secolo d’oro della potenza politica, economica, artistica di Lucca’ (3). Un periodo in cui le attività lavorative e le iniziative culturali ed artistiche riescono ad aggregare sempre più persone entro e attorno alle mura urbane facendo della città un centro indiscusso di civiltà, come più tardi avverrà anche a Firenze. Questo nuovo dinamismo, oltre a produrre considerevoli vantaggi economici per la popolazione lucchese, favorisce la ripresa dell’edilizia civile e di quella religiosa, soprattutto all’interno del contesto cittadino.
Alle soglie del nuovo millennio, la città subisce un vero e proprio rilancio anche sul piano religioso, grazie alla presenza, nell’ambito diocesano locale, di alcuni vescovi che hanno il coraggio di dare inizio ad una riforma della Chiesa locale. Dall’epoca longobarda al primo ventennio del secolo XI, questa era stata caratterizzata da un forte declino dei valori etici e morali; con la nomina al soglio vescovile del vescovo Giovanni II (1023-1056) si assiste, invece, ad un’opera di rinnovamento e di ristrutturazione della Chiesa lucchese, che si manifesta anche attraverso la fondazione di nuove chiese, canoniche, ospedali e monasteri, sia all’interno della città sia all’esterno delle sue mura. Pochi anni dopo, Anselmo II da Baggio (1073-1086) sarà ancora più incisivo nel dare una nuova immagine all’episcopato lucchese partendo dalla sua riorganizzazione interna. Tale vescovo era nipote di un altro Anselmo da Baggio che aveva retto la diocesi nel periodo 1057-1073, e, contemporaneamente, era diventato papa col nome di Alessandro II.
La realizzazione di un nuovo modello di vita comunitaria fra il clero secolare della diocesi era l’obbiettivo che il nuovo vescovo di Lucca era intenzionato a perseguire, ricalcando così le orme di alcuni suoi predecessori ma, soprattutto, cercando di mettere in pratica la stessa riforma della Chiesa promossa da Gregorio VII (4). Questa scelta, ovviamente, avrebbe finito per mettere in discussione alcuni degli schemi tradizionali della vita ecclesiastica locale, che erano rimasti invariati nel corso di molti secoli. Scrive il Mancini: “La riforma portava nella borghesia che nasceva dal disfacimento della proprietà ecclesiastica e feudale, la stessa preoccupazione e lo stesso disagio che porterebbe oggi nella nostra borghesia commerciale e industriale la rigida applicazione di leggi suntuarie e costrittive, cosicché nella lotta fra Pontefice e Marchesato [di Toscana] da un lato e Impero dall’altro non sono da trascurarsi, per quanto si riferisce all’atteggiamento dei Lucchesi, particolari ragioni economiche” (5).
L’iniziativa dette origine, quindi, a tenaci opposizioni da parte dei canonici che, appoggiati dagli stessi cittadini lucchesi, nel 1080, decisero di cacciare lo stesso Anselmo II e di sostituirlo, seppur per breve tempo, con il vescovo scismatico Pietro. Questi riuscì a mantenere la cattedra vescovile fino al 1091, quando papa Urbano II ripristinò la legalità e nominò come nuovo reggente della diocesi il vescovo Gottifredo (1091-1096 ?).
Tornando a parlare dello sviluppo sociale ed economico che caratterizza Lucca in epoca medievale è necessario sottolineare anche il ruolo strategico che la città torna ad assumere sul piano della viabilità generale, a far data dall’XI secolo in poi.
In epoca antica, la città veniva indicata come una delle principali stazioni di sosta nel panorama stradale dell’impero romano, in quanto era attraversata da vie di grande comunicazione come la via Cassia, la Clodia secunda e l’Aurelia che attraversava la vicina Massagrausi (Massarosa). A fianco delle maggiori arterie ve ne erano altre, di minore importanza, che prendevano il nome di vie vicinali, poiché servivano agli abitanti di un vicus.
Nel medioevo, Lucca si riappropriò di tali strade alle quali si aggiunsero nuovi tratti realizzati, soprattutto, durante l’epoca longobarda. Questi nuovi percorsi collegavano i tracciati più importanti tra di loro ma anche un centro abitato con l’altro e, spesso, correvano lungo le pendici dei monti e lungo i fiumi; di solito, erano frequentati da persone che camminavano a piedi o a dorso di mulo ma anche da animali da soma che trasportavano merci o trainavano veicoli rudimentali. Ben presto, quindi, la città tornò a svolgere quel ruolo di snodo viario fra il nord e il sud d’Italia che già aveva assunto nel passato.
Tale rilancio si verificò nel periodo longobardo, quando la città si trovò ad essere nuovamente attraversata dalla cosiddetta via romea (che dai Franchi prese anche il nome di via francigena), che collegava le regioni dell’Europa nord-occidentale con la capitale della Cristianità. La via romea (o via di Monte Bardone, da mons longobardorum) dopo aver attraversato le Alpi occidentali e un tratto della pianura Padana, fino a Pavia, deviava il suo percorso verso la Toscana; giunta all’altezza di Lucca, la strada piegava verso Siena e, quindi, proseguiva in direzione di Roma. E’ l’itinerario seguito dall’arcivescovo di Canterbury Sigeric, il quale appena eletto vescovo si era recato a Roma per ricevere il pallio e la benedizione dalle mani di papa Giovanni XV (6). E’ la strada frequentata dalle folle, più o meno numerose, dei pellegrini e di tutti coloro che avevano necessità di spostarsi per esigenze commerciali o altre necessità (7). Afferma lo Stopani: “Se è vero che le città sul mare furono le prime a manifestare i segni della ripresa, è altrettanto vero che i centri sulla Francigena le seguirono a breve distanza di tempo. Non a caso Lucca e Siena saranno le due città della Toscana che prima delle altre annoderanno i rapporti con i mercati internazionali d’Oltralpe. Ma tutte le località poste lungo la via dovettero a questa la loro fortuna” (8).
La città di Lucca riuscì ad aumentare la propria notorietà sia in Italia che all’estero grazie al passaggio dei viandanti che si fermavano in città per fare commerci o per venerare l’immagine del ‘Volto Santo’, ovvero di quel grande crocifisso ligneo che, oggi come allora, si trova custodito all’interno delle sue mura urbane. La tradizione del Volto Santo data dall’VIII secolo, ma è soprattutto intorno all’XI e al XII secolo che questa icona spingerà molti pellegrini – sia quelli che percorrevano la via romea in direzione di Roma sia coloro che facevano il tragitto in senso inverso - a considerare Lucca come una tappa specifica del loro percorso devozionale. Ne abbiamo una testimonianza indiretta da Guglielmo Malesburiense, secondo cui il re d’Inghilterra, Guglielmo II (1056-1100), era solito giurare per Sanctum Vultum de Luca (9).
Sul finire del secolo XI e i primi di quello successivo, appare evidente anche il ruolo politico che Lucca riesce ad assumere rispetto ad altre città limitrofe. In particolare dopo che la città avrà deciso di schierarsi apertamente a favore dell’imperatore Enrico IV contro ogni rapporto di vassallaggio con Matilde di Canossa, marchesa di Toscana. Questa posizione di privilegio è dimostrata dai numerosi benefici che lo stesso Enrico stabilisce di concedere ai cittadini di Lucca nel giugno 1081. E’ evidente che l’imperatore intendesse punire soprattutto la contessa Matilde di Canossa, resasi colpevole di lesa maestà, ma per i lucchesi questa rappresenta l’occasione propizia per ottenere particolari esenzioni da determinati tributi e tasse. Il bando del 1081 offre, inoltre, determinate garanzie sia ai lucchesi che si trovano a percorrere il tratto di strada fra Pavia e Roma sia ai soggetti estranei, che hanno necessità di trattare (evidentemente di questioni commerciali) con gli stessi lucchesi ed arrivano a Lucca in barca, seguendo il corso del Serchio. In base alla medesima sentenza, nessuno potrà impedire “l’accesso ai mercanti in arrivo lungo la strada che da Luni porta a Lucca, né li conduca altrove, né li devii, bensì possano essi giungere con sicurezza in città, senza obiezioni da parte di alcuno” (10). In base a questo proclama, Enrico IV riesce a favorire un maggior senso di indipendenza da parte di alcuni comuni italiani.
Per il ruolo caritativo e assistenziale svolto, soprattutto, lungo quel tratto della via romea che attraversava il territorio di Lucca, non possiamo concludere questo capitolo senza accennare al celebre ospedale dei Santi Jacopo, Egidio e Cristoforo d’Altopascio, conosciuto anche come ospedale di Matilde, Mathildar spitali.
“Divenuto (…) ‘l’ospedale per eccellenza’ per la posizione di preminenza raggiunta dagli ospedalieri del Tau sulle altre istituzioni religiose similari” – scrive lo Stopani – questa struttura rappresentò per molti secoli un punto di riferimento non unico ma sicuramente tra i più efficienti nel suo genere (11).
L’ospedale di S. Jacopo, di cui si hanno notizie a far data dal 1084, era posto ad est di Lucca, a poche miglia dal centro cittadino, in una zona deserta e paludosa, dove lo stesso presidiava un importante raccordo stradale, verso cui confluivano la stessa via romea, che collegava Lucca con il Valdarno; la Cassia, che univa Lucca a Pistoia, attraverso la Val di Nievole; la via Pisana, che congiungeva Firenze a Pisa (12). Per la sua posizione geografica, l’ospedale di Altopascio assunse ben presto un ruolo fondamentale a sostegno e protezione dei viandanti che percorrevano questi itinerari. Tale funzione si estese al controllo del sistema viario locale, con particolare attenzione alla costruzione e alla manutenzione dei ponti e dei traghetti, che col tempo divenne una delle prerogative dell’istituzione medesima.
L’attività di questo ospedale si collega, infatti, ad una congregazione religioso-militare (simile, forse, a quella gerosolimitana dei Cavalieri di Malta), di cui si ha già notizia in una bolla di Innocenzo III del 1198 (13). I componenti dell’Ordine assunsero la denominazione di “cavalieri del Tau” per il segno distintivo che avevano posto sul loro mantello e, fin dall’inizio del loro impegno, ebbero prerogative specifiche nel campo dell’assistenza ai viandanti, ai poveri e agli ammalati, ma anche nell’organizzazione, nella gestione e nel controllo del territorio circostante. Ben presto estesero la loro presenza in Francia, in Spagna e in Inghilterra, dove fondarono anche delle succursali.
La Reghola del 1239 ci informa, con dovizia di particolari, delle pratiche assistenziali che i frati di Altopascio rivolgevano a quei viandanti che si trovavano all’interno del loro ospedale; delle cure che essi offrivano a coloro che si trovavano ancora in viaggio; degli accorgimenti che venivano riservati alle donne partorienti e ai neonati che giungevano all’ospizio. Tutto questo comportava un’ampia disponibilità di risorse umane ed economiche a cui gli ospedalieri facevano fronte utilizzando lo stesso personale dell’ente e i profitti dell’istituzione; a questi ultimi, spesso, si aggiungeva il ricavato delle donazioni e delle elemosine che giungevano dai benefattori.
La posizione particolare di questo ospedale, posto a metà strada fra il lago di Bientina e il padule di Fucecchio, a nord-est della zona boschiva delle Cerbaie, consentiva ai cavalieri del Tau di esercitare la loro attività dai dintorni di Lucca fino ai margini del territorio empolese. In questa zona, spesso infestata dai ladri e dai briganti, essi garantivano la sicurezza di quei viandanti che dovevano attraversare i ponti sul fiume Arno o sui torrenti Gusciana, Elsa ed altri.
L’ospedale di S. Jacopo venne definitivamente soppresso nel febbraio 1587, dopo una serie di vicissitudini legate alle vicende politiche che videro coinvolti gli stati confinanti di Lucca e Firenze, durante il secolo XIV, ed un periodo di graduale declino, che si protrasse fino alla seconda metà del secolo XVI (14).
Tratto da:
Sul cammino del Volto Santo
di Amedeo Guidugli
Garfagnana editrice
Pagine 208 - Euro 15,00
ISBN 9788897973089
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Note
1) V. Lucca e il commercio della seta nel Medioevo, Pisa 2010, p. 16 e ss.
2) V. MENCACCI P., Vita civile ed ecclesiastica a Lucca nell’alto Medioevo. Secoli VI-IX, Lucca 2012, p. 29 e ss.
3) Storia di Lucca, Firenze 1950 (ristampa, Lucca 1975), p. 101 e ss.
4) Come sottolinea P. Golinelli, “a Lucca la riforma canonicale era stata introdotta fin dal tempo di Leone IX, ma l’assenza di un vescovo in loco – Alessandro II infatti tenne insieme l’episcopato lucchese e la cattedra pontificia - e i grossi interessi della feudalità locale sui consistenti beni della Chiesa lucchese fecero sì che la vita comune del clero in pratica non vi si realizzasse” (v. Matilde e i Canossa, Milano 2004, cap. 28). “L’ideale e la prassi della vita in comune del clero – prosegue lo stesso autore - non erano affatto nuovi: la prima affermazione di questo principio risaliva all’epoca carolingia; i papi riformatori –sulla spinta dei teologi e degli stessi movimenti popolari del tempo che, come la Pataria, lo pretendevano- l’avevano rilanciato, e per essi il fatto che i preti conducessero vita comunitaria, coabitando nella canonica, dormendo, consumando i pasti e pregando insieme, era divenuto il mezzo per riformare i costumi dei sacerdoti, che così non potevano avere moglie e figli, beni e ricchezze personali, e venivano a sottoporsi a un controllo reciproco in ogni momento della giornata, indispensabile in una situazione di vita privata. Era in pratica l’applicazione di un modello monastico alla vita del clero secolare, un clero che per le sue tradizioni e per le sue funzioni liturgiche e pastorali era naturalmente maldisposto a sottopor visi” (ibid., p. 235).
Per le vicende che interessano la diocesi di Lucca, in questo periodo storico, si vedano anche le seguenti opere: GIUSTI M., Le canoniche della città e diocesi di Lucca, in ‘Studi gregoriani’, III, Roma 1948; Notizie sulle canoniche lucchesi, in ‘La vita comune del clero nei secoli XI e XII’, Milano 1962; GUERRA A. - GUIDI P., Compendio di storia ecclesiastica lucchese dalle origini a tutto il sec XII, Lucca 1923; NANNI L., La Parrocchia studiata nei documenti lucchesi dei secoli VIII-XIII, Roma 1948; SCHWARZMAIER H., Movimenti religiosi e sociali a Lucca nel periodo tardo longobardo e carolingio, Lucca 1973.
5) Op. cit., p. 53.
6) AA. VV., 990-1990 Millenario del viaggio di Sigeric, arcivescovo di Canterbury, in ‘Quaderni del Centro Studi Romei’, Poggibonsi 1990, 4; Sulla via Francigena si v.: AA. VV., La via Francigena, Atti della giornata di studi, Modena - Massa 1997; AA. VV., Cammini d’Europa e via Francigena. La via del Volto Santo in Garfagnana (a cura di ROSSI M.), Lucca 2009.
7) Alcuni di questi viandanti, spinti soprattutto da esigenze di fede, dopo aver visitato Roma, proseguivano il loro cammino fino al sud della penisola, dove avevano la possibilità di poter visitare luoghi di grande venerazione, come S. Michele del Gargano e la tomba di S. Nicola a Bari; altri, secondo un’antica consuetudine, si recavano presso il porto di Brindisi e, via mare, raggiungevano la Palestina e il vicino oriente. Ma c’era pure chi, in senso contrario, saliva verso nord e, dopo aver valicato le Alpi occidentali, si dirigeva verso gli altrettanto famosi centri di devozione presenti in territorio francese o nel nord della penisola iberica.
“Pur niente perdendo della sua spontaneità – sostiene lo STOPANI -, il movimento dei pellegrinaggi fu in qualche modo organizzato lungo gli itinerari che dalla Francia, ‘umbilicus’ dell’universo feudale, conducevano a Compostella (alla tomba del ‘barone per cui la giù si visita Galizia’), a Roma, in Terrasanta e agli altri luoghi santi della Cristianità medievale” (op. cit., 37).
8) Op. cit., p. 52.
9) “Ma perché l’immagine conquistasse tanta notorietà da essere preferita dal pio re nei suoi giuramenti, per Sanctum Vultum de Luca, - scrive A. Mancini - è necessario ammettere una precedente diffusione, se pure non si pensi che Guglielmo II passando per Lucca diretto a Roma abbia veduto e venerato l’Immagine, e si tratti quindi di impressione e memoria individuale: ma sta di fatto che nel 1107 Pasquale II confermava al Vescovo e al Capitolo di Lucca la legittimità delle offerte che già per antica tradizione si facevano al Volto Santo. E quello che rende probabile che si tratti di un culto sorto effettivamente nell’VIII secolo è il rapporto che la tradizione ammette fra Lucca e Luni. Luni fu distrutta dai Saraceni prima del Mille e prima della sua distruzione fu teatro di incursioni e devastazioni da parte di pirati e infedeli” (op. cit., p. 39).
In merito all’effigie del Volto Santo, scrive lo STOPANI: “Opera ‘insigne, assai antica e stilisticamente isolata’ nel contesto della scultura romanica toscana, rappresenta il Cristo crocifisso vivente, secondo una iconografia di origine orientale, con la testa leggermente reclinata, e rivestito di un’ampia tunica manicata” (op. cit., p. 66).
Sulla storia e sulle tradizioni legate alla stessa immagine sacra, v. LAZZARINI P., Il Volto Santo di Lucca, Lucca 1982.
10) “[…] Statuimus etiam, ut si qui homines introierint in fluvio Serculo vel in Motrone cum navi sive cum navibus causa negotiandi cum Lucensibus, nullus hominum eos vel Lucenses in mari vel in suprascriptis fluminibus eundo vel redeundo vel stando molestare aut aliquam iniuriam eis inferre, vel depredationem facere aut aliquo modo hoc eis interdicere presumat. Precipimus etiam, ut si qui negotiatores venient per stratam a Luna usque Lucam, nullus homo eos venire interdicat vel alio conducat sive ad sinistram eos retorqueat sed secure usque Lucam veniant omnium contradictione remota […]” (v. TOMMASI G., Sommario della storia di Lucca dall’anno 1004 all’anno 1700, Firenze, 1847), Documenti, I. Il documento originale è andato distrutto durante un incendio del 1314; il Tommasi poté consultare la copia che era stata redatta dal lucchese T. FIADONI (1236–1327). Anche F. M. FIORENTINI (1756) prese visione quella stessa copia, che datò al 1081 (v. Memorie di Matilda, la gran Contessa, Lucca 1642).
11) V. La via Francigena in Toscana cit., p. 46. Sull’ospedale di S. Jacopo d’Altopascio e sull’Ordine dei ‘Cavalieri del Tau’, v. AA. VV., L’ospitalità in Altopascio (a cura di CENCI A.), Lucca 1966 e la vasta bibliografia ivi contenuta.
12) STOPANI, op. cit., pp. 46-47; per la viabilità nell’Italia centro-settentrionale, si vedano anche le segg. opp.: AA.VV., Vie romane tra Italia centrale e Pianura padana. Ricerche nei territori di Reggio Emilia, Modena e Bologna, Modena 1988; SARDI C., Vie romane e medievali nel territorio lucchese, Lucca 1910; SOLARI A., Lucca centro itinerario nell'antichità, in ‘Bollettino Storico Lucchese’, I, Lucca 1929.
13) MUCIACCIA F., I cavalieri dell’Altopascio, in ‘Studi storici’ (A. Crivellucci), VI, 1897, pp. 33-92; VII, 1898, pp. 215-232; VIII, 1899, pp. 347-397.
14) La soppressione fu conseguente ad una richiesta fatta a papa Sisto V dal granduca Ferdinando I di Toscana (v. AA. VV., Altopascio un grande centro ospitaliero nell’Europa medievale, Atti del Convegno organizzato dal Comune di Altopascio in collaborazione con l’Associazione Pro Loco, Altopascio 22 luglio 1990, Lucca 1992).