Tappa 2 Lusignana - Bagnone
Da Lusignana partono molti percorsi che in poche ore portano i più intraprendenti sull’appennino tosco emiliano. Percorsi che ci raccontano una realtà diversa da quella che conosciamo; una realtà in cui la vita comunitaria si svolgeva prevalentemente in quota mentre le zone a valle venivano ignorate. Ben visibili i segni del passato fatto di terrazzamenti, per sottrarre la terra alla montagna e renderla coltivabile, di mulattiere, che guidavano il percorso di mercanti, soldati e viandanti, di angoli sperduti e poco accessibili dove si tenevano riti cultuali. Molti di questi luoghi rimangono ad oggi sconosciuti e questo rende molto più emozionante andare in escursione perché ogni roccia squadrata potrebbe rappresentare un altare oppure un assembramento di massi potrebbe racchiudere un luogo ritenuto “magico” con coppelle ed incisioni.
Seguendo uno di questi percorsi, in pochi chilometri si raggiunge il sito di Montecastello dove i resti di una fortificazione bizantina testimoniano la presenza, proprio in queste punto, del limes bizantino. Non rimangono che pochi rudere ma sufficienti a farci comprendere la dimensione del sito e l’evidente importanza che questo doveva avere nel passato.
Partiamo di buon mattino lasciando dietro di noi la canonica di Lusignana che ci ha accolto per la notte ed imboccando uno di questi sentieri. Si sale per una bella e ampia strada bianca fiancheggiando un piccolo ruscello che, con felci e piante ricche di acqua rende il paesaggio verde e molto rigoglioso. Lungo questo tratto ci accompagna Anna Maria Tosatti, membro della sovraintendenza della Toscana, ma da sempre studiosa appassionata di incisioni rupestri “con il termine “incisioni rupestri” o “arte rupestre” si intendono tutti gli atti che l’uomo ha coscientemente lasciato sulle rocce, indipendentemente dal perché sia stato condizionato in quel momento a fare quell’atto. Se si escludono infatti i casi rilevanti – anche per la quantità e la bellezza delle forme in Valcamonica e nella Valle delle Meraviglie – nel resto dell’Italia peninsulare ogni segno o glifo, spesso aniconico o di modesta rilevanza estetica, deve essere spiegato alla luce di studi di antropologia culturale o con ricerche sul mondo culturale e religioso che li ha prodotti” definisce in questo modo i segni che l’essere umano ha spesso lasciato su rocce. Continua “Le coppelle sono delle piccole conche (Ø da 3-4 cm fino a 20 circa) scavate nella roccia: dalla tecnica di lavorazione spesso si risale all’epoca della lavorazione. Se ad esempio una coppella è conica ed ottenuta per sfregamento di una pietra può ipoteticamente risalire ad epoca anteriore ad una in cui si notano tracce di lavorazione con strumento metallico.” Anna Maria mi istruisce con pazienza e con passione, quella passione riservata alle cose che, oltre ad essere un lavoro, occupano anche parte del tempo libero di una persona.Le chiedo cosa si può osservare in Lunigiana e mi risponde “la maggior parte delle incisioni consiste in coppelle e vaschette, spesso con canalette e rari antropomorfi. In Lunigiana si incontrano due fenomeni importanti: da un lato una grotticella tutta istoriata ma difficile da studiare ed è la Grotta di Diana nel territorio di Mulazzo, dall’altro il fatto che esiste un fenomeno, da poco messo in rilievo anche nel nord Italia, di presenza di coppelle lungo percorsi montani, di cui si sta ancora studiando le forme e il significato: importanti dati sono stati desunti dallo studio di linee incise su rocce orizzontali nelle finestre della grotta, che sono state traguardate e danno indizi sul fatto che almeno in qualche epoca della protostoria e in particolare dal popolo delle statue stele, sia stata utilizzata come punto di controllo del territorio. Pur senza disconoscere che la grotta possa aver avuto una frequentazione anche di tipo cultuale, almeno nelle prime fasi”.
Ad un certo punto dobbiamo abbandonare la strada bianca che stiamo utilizzando per inoltrarci nel bosco. Qui, alla ricerca di una vecchia mulattiera, che più a valle recupera il suo originario splendore, camminando a fianco di vecchi muretti completamente ricoperti di muschi, di massi caduti a seguito di antiche frane, assaporiamo il trascorrere del tempo. Ripensando alle parole di Anna Maria ci rendiamo conto che ogni pietra potrebbe racchiudere un segreto o portare inciso un messaggio, comprensibile e utile per i viandanti dei tempi passati ma misterioso e del tutto incomprensibile per noi. Per questo motivo passiamo tutto il tempo ad osservare con curiosità ed attenzione ogni forma strana che ci salta all’occhio oppure ad avvicinarci ad ogni assembramento di pietre e massi che potrebbe rappresentare un altare preistorico o una zona di culto.
Al termine della mulattiera ci attende un altro spettacolo naturale che ci invoglia a fermarci. Il torrente Redivalle, nella sua corsa perpetua, forma una serie di piccoli bozzi e cascatelle nel quale immergere i piedi per un veloce ristoro. Ma è anche possibile fare il bagno e spezzare il ritmo del cammino con qualche istante di puro relax. Composto da tanti agglomerati di case nominati Chiesa, Canneto, Montale, Monteruolo, Valle e Mulini di Vico, fu feudo e per qualche decennio, l’agglomerato di Chiesa fu abitato dal Marchese di Treschietto.
Il nostro cammino prosegue proprio all’interno di questo abitato che, attraversato da una via principale che lo taglia per tutta la sua lunghezza mantiene per larga parte la sua struttura originaria.
Dirigendoci verso Treschietto, osservando la struttura del territorio e della rupe che si sta salendo, si capisce perché i marchesi Malaspina abbiano costruito proprio qui il loro castello. Difeso dallo strapiombo sui tre lati il maniero era facilmente difendibile permettendo e al contempo permetteva di tenere sotto controllo l’intera valle. Oggi del castello non rimangono che pochi ruderi e i resti di una delle torri. Con essi rimane viva la leggenda che in certe notti possano essere ascoltate le urla delle ragazze che il sadico marchese Malaspina violentava e poi uccideva per pur piacere. Nei pressi del cimitero nell’anno 1969 fu rinvenuta, durante attività di scavo una statua stele femminile appartenente al Gruppo B (3400 a.C. – 2300 a.C.) oggi conservata al Museo delle Statue Stele di Pontremoli. Da qua, percorrendo il sentiero 118 del CAI si possono osservare altri petroglifi ma questa è un’altra storia e chissà, forse un altro racconto.
Bagnone, al termine del nostro percorso ci accoglie, prima con la sua parte di nuova costruzione con caseggiati ordinati e villette curate e ben tenute. Attraversato il torrente omonimo, ponte che parte dalla piazza dove il Teatro Quartieri ancora oggi anima le serate bagnonesi, si entra nella storia, passeggiando nella parte più antica. Gli archivolti di origine antichissima e unici nel panorama lunigianese, eredità di un passato in cui il mercato del borgo era ricco e noto in tutta la zona, conservano intatto il loro fascino e, seppur di modeste dimensioni, toccano il cuore del più esigente turista. Di seguito la piazza Roma, nota anche come piazza del Mercato, centro di Bagnone e luogo di ritrovo, con i bar che vi si affacciano, dei paesani. Qui è possibile riposare dopo il lungo tragitto, rinfrescarsi e godere, soprattutto verso il calar della sera, del superbo panorama che lo scenario sa regalarci.