Tappa 4 Monti - Fivizzano
Partire presto così da avere più tempo a disposizione per apprezzare quanto di bello incontrerò oggi. Con questa idea mi metto in cammino da Monti, che ieri sera al mio arrivo mi ha accolto e coccolato in attesa del saluto di questa mattina. Anticamente qui si trovava la pieve di Santa Maria di Venelia che sorse sulle rovine di un antico tempio del pagus romano. Dell’antica pieve oggi non rimane quasi nulla e solo guardando attentamente si può notare, nella nuova costruzione, l’abside originario che occupa il lato di uno dei muri del nuovo perimetro. Nel ventesimo secolo furono trovate nelle vicinanze dell’abitato tre Statue Stele; le tre statue, nominate Venelia I, Venelia II e Venelia III, conservate le prime due nel Museo delle Statue Stele ospitato nel Castello del Piagnaro di Pontremoli e la terza nel centro restauro della Sovrintendenza di Firenze, appartengono al così detto Gruppo B (fra il 3400 AC e il 2300 AC) dove le sculture raggiunsero un maggior grado di dettaglio ricercando una maggiore rassomiglianza con la forma umana.
La tappa che mi aspetta non è impegnativa, non ci sono grandi dislivelli da affrontare. La giornata, fredda ma luminosa e assolata si preannuncia quasi perfetta. Ben presto mi trovo nel piccolo borgo di Pontebosio, antico e piccolo feudo Malaspiniano, così chiamato per via del ponte fatto costruire sul torrente Taverone dalla famiglia dei Bosi, signori della Verrucola di Fivizzano. Centro viario di sicura importanza stupisce il castello che ancora oggi si può ammirare. Stupisce per le sue dimensioni, ragguardevoli, e per la struttura squadrata e massiccia che discorda con il resto del borgo. Interessante notare che poco prima del ponte, dalla parte opposta a quella del castello, fu eretto e mai completato, da parte dei Marchesi Malaspina di Podenzana un altro castello, denominato “Poderetto”, i quali in qualche modo, con quella costruzione, volevano mitigare e contrastare l’influenza della famiglia Bosi sulla zona. Non completato ma comunque imponente ed oggi abitazione privata, il castello incompiuto rappresenta il simbolo dell’importanza della zona e della evidente ricchezza che tramite le sue strade transitava. Abbandono il borgo seguendo un piccolo tratto di una bellissima mulattiera che ben presto si inoltra nel bosco. Le chiome degli alberi, imponenti cerri, formano un tunnel ombroso che rende il cammino piacevole anche in estate quando il sole a picco scalda le giornate. Nelle coste che guardano a sud piccoli vigneti e uliveti si scaldano al sole ricordandomi che, ancora oggi, chi può cerca di produrre qualche litro di vino e di olio per il fabbisogno della famiglia. La camminata nel bosco, lungo un sentiero ben visibile e ben tenuto, mi permette di raggiungere il secondo borgo della giornata: Olivola. Feudo anch’esso dei Marchesi Malaspina il borgo arroccato sopra una collina di marna, roccia formata in parte da argilla e da carbonato di calcio, di origine prevalentemente marina, domina la valle sottostante. La linea del borgo conserva intatta la struttura medievale e la via principale mi permetterà di ammirare ancora oggi alcuni scorci che mi ricorderanno come doveva essere il borgo qualche centinaia di anni fa. Arrivo ad Olivola con una certa trepidazione; documentandomi ho scoperto che, intorno agli anni 80 del 1800 furono condotti in questa zona alcuni scavi per il recupero di ossa di fossili preistorici appartenenti al pliocene (tra i 5,3 e i 2,5 milioni di anni fa). Non solo, ma le note di scavo, scritte in prima persona da Charles Forsyth Major, nel suo “L’Ossario di Olivola in Val di Magra”, mi riportano alla mente studiosi ed esploratori di altri tempi come il professor Challenger de Il Mondo Perduto di Arthur Conan Doyle. Tutto questo non fa che alimentare la mia curiosità e la mia voglia di vedere in prima persona per capire se, la zona, anche a distanza di anni, riesce a trasmettermi quelle sensazioni che mi hanno trasmesso le parole scritte e che riporto: “Finalmente nel Luglio del decorso anno mi ci recai ed intrapresi un piccolo scavo in terreno comunale, vicino al posto dove, secondo alcuni vecchi abitanti erano state a più riprese per il passato scavate delle ossa. Avendo incontrato dell’opposizione da parte degli indigeni, i quali sostenevano che si recava danno alla strada, feci interrompere (…) per ottenere l’autorizzazione. Mi ero appena allontanato quando alcuni di quegli stessi individui che si erano opposti al mio scavo, si armarono loro stessi di zappe e fecero man bassa delle ossa (…). Nell’Agosto tornai ad Olivola con l’autorizzazione del comune, così potei intraprendere lavori su più vasta scala. Nel corso dei lavori mi accorsi che lo strato di ossa continuava nell’attiguo campo. Anche al di là della strada incavata, detta Via Buia, si vedevano i medesimi strati in una sezione naturale del terreno (…)”. L’autore a seguito di un’importante malattia, costretto ad abbandonare gli scavi, decise di ricoprire con terra quanto fino a quel momento portato alla luce ma non prelevato e di nominare una persona del luogo come custode. Conclude riportando che alcuni personaggi arrivarono sul posto cercando, in ogni modo possibile, compreso l’offrire del denaro al custode, di prelevare quanto scavato ed estratto. Sembra proprio che il commercio di queste ossa fosse, per l’epoca un mercato remunerativo che evidentemente giustificava metodi, anche poco ortodossi, pur di entrarne in possesso.
I fossili ritrovati oggi si possono ammirare nel museo geopaleontologico sito nel castello di Lerici in provincia di La Spezia e comprendono erbivori come equini, antilopi, rinoceronti e cinghiali. Tra i grandi carnivori abbiamo invece iene, canidi, leopardi e tigri da denti a sciabola.
Cerco la Via Buia e dopo alcuni tentennamenti raggiungo il sito. Mi avvicino con cautela, quasi temendo di rompere l’incantesimo che ha preso possesso della mia mente. Il sentiero è in discesa ed in effetti, la prima impressione che si ha è che sia davvero scuro, “buio”. La strada in varie parti si incassa dentro il fianco della collina rassomigliando molto ad un tunnel. La zona è indubbiamente ricca di fascino ma non è del tutto come me l’ero aspettata. Probabilmente la modernità ha dissipato del tutto quell’aura di mistero che doveva, sicuramente, ammantare quel luogo.
Temprato dalla scoperta e dall’essermi, per qualche momento, calato nella parte dell’esploratore ottocentesco, riprendo il cammino continuando a seguire mulattiere e sentieri ben tenuti. Ogni tanto uno scorcio di pavimento originario riaffiora e compare, lasciandomi, come sempre, stupito e senza parole per la precisione e la complessità del lavoro.
Il convento della Madonna dei Colli mi appare di fronte all’improvviso, nascosto fino all’ultimo dalla vegetazione e da un piccolo boschetto di bambù. Da anni chiuso e ormai completamente disabitato per effetto delle restrizioni abitative imposte a seguito dell’ultimo terremoto il convento ospitava l’istituto agrario. In origine venne intitolato a Santa Maria della Neve proprio perché la chiesa costruita venne inaugurata la sera prima della festa di Santa Maria ad Nives (05 Agosto del 1657) e solo successivamente venne intitolato “Madonna dei Colli” in funzione della posizione che lo contraddistingue.
Centro di origine medievale e luogo di ritrovamento di altre due Statue Stele, appartenenti queste al Gruppo A, più antiche e meno antropomorfizzate, con il caratteristico viso a forma di U, entrambe di genere femminile, Moncigoli ci accoglie arroccato sopra “la piana” che ancora oggi vede l’agricoltura predominare con campi ben tenuti e produttivi. Il borgo merita una visita ma quello che davvero mi sorprende è scoprire che proprio qui, tra queste strette vie con tante scale che le uniscono rendendo l’insieme un gradevole labirinto, si consumi ogni anno un evento, “Borgarte”, che si prefigge di “avvicinare l’arte al popolo, riproponendo il tempo in cui gli artisti non erano che artigiani e le botteghe si trovavano all’interno delle comunità, sulle vie di passaggio e a contatto con gli abitanti”.
Voluto fortemente dall’associazione “Amici di Serena”, associazione che si impegna a creare un gruppo di operatori sanitari specializzati nella terapia del dolore oncologico e un gruppo di persone volontarie da indirizzare al sostegno psicologico e morale dei malati e loro familiari, la manifestazione, durante i tre giorni della festa, prevede che le cantine vengano messe a disposizione di artisti che possono esporre le loro opere mentre le aie si popolano di rappresentazioni teatrali, musiche ed esibizioni di giovani talenti. Ma, cosa ancor più sorprendente è che, da questo evento è nata una accademia, “Borgarte Academy” che si propone ogni anno di ospitare, per due settimane, giovani artisti al fine di confrontarsi e apprendere nozioni da noti artisti che metteranno la loro esperienza e il loro talento a disposizione degli alunni. Angelica Polverini, prof.ssa di storia dell’arte all’Accademia di Belle arti di Novara e direttrice didattica di Borgarte Academy, per quest’anno ha scelto il tema “Dalle Idee ai Luoghi, verso il se” che permetterà di affrontare l’importanza delle idee e del contesto nel quale si vive per il raggiungimento di una propria identità personale e artistica.
Ci allontaniamo da Moncigoli, strada in discesa e facile da percorrere fino a che, per un breve tratto non si torna a salire per raggiungere Posara Alta e poi Posara. Da qui è possibile vedere Fivizzano, la Firenze di Lunigiana, a lungo possedimento dei Medici. Ancor oggi, nonostante la visuale sia cambiata arricchendosi di edifici che saturano la vista, si può intuire come doveva apparire al viaggiatore che si avvicinava dalla valle e come dovesse risultare invitante per chi, spossato dal cammino, si apprestava a percorrere l’ultimo tratto di strada.