Tappa 5 Fivizzano - Argegna
Fivizzano sembra aver accusato il passare dei secoli e come una ricca e fascinosa nobildonna decaduta fatica a mantenere il tenore di vita perduto. Riesce però, come in un gesto oppure in un contegno degno della nobildonna, a ricordarti chi fosse quando inaspettatamente, mostra angoli quasi dimenticati o non facilmente accessibili. In quel caso, le parole “Bello era allora vedere in Fivizzano 5 o 6 grossi fondachi forniti d’oro, d’argenti, di Scarlatti, e di altre ‘Robbe’ di grande valore, e altrettanto ricchi spedizionieri, e cambisti di Monete i quali inviavano i suddetti doviziosi generi e le droghe per la Lombardia (…)” dello scrittore Giovanni Fantoni, nel suo “Efemeridi biennali di Aronte Lunese”, tornano alla mente e non si fa alcuna fatica ad immaginare quella Fivizzano, la Firenze della Lunigiana, che per decenni, se non per secoli, godette di una posizione privilegiata nei commerci e nella politica locale.
Piazza Medicea, voluta probabilmente dal Granduca Cosimo III, ancora oggi è il centro della cittadina ma è nella zona retrostante, con le sue vie strette, il Palazzo Fantoni Bononi (sede del Museo della Stampa ma da tempo chiuso a causa dei danni provocati dal terremoto) sullo sfondo e le mura esterne, che Fivizzano dà il meglio di se. La strada ciottolata che percorre il perimetro e l’affaccio sugli “orti” sottostanti ci raccontano di come doveva svolgersi la vita dei tempi passati, con i campi, oggi in parte non coltivati, messi a coltura per sfamare l’importante feudo Malaspiniano. La storia ci tramanda della nobile famiglia “Pescia” cosi nominata perché proveniente dall’omonima città toscana, che per prima, proprio negli “orti” introdusse un’agricoltura intensiva che fosse in grado di sopperire alla richiesta della città ed in gradi di commerciare l’avanzo. Ci racconta inoltre di
Jacopo da Fivizzano che nel 1471, precursore fra molti, stampò libri con i primi caratteri tipografici italiani mobili anticipando città ben più importanti.
Girovagando per il borgo scopriamo un’associazione “Dai libri alla solidarietà”, con sede all’interno del Convento degli Agostiniani che ci incuriosisce e ci spinge ad informarci “Siamo nati come sezione fivizzanese della onlus internazionale Oxfam ma nel gennaio del 2014 abbiamo deciso di diventare un’associazione autonoma ” racconta Carmine Mezzacappa, presidente dell’associazione “Facciamo tre cose importanti: riusciamo a far accedere alla lettura e alla cultura anche persone che, soprattutto in questo momento di crisi, non potrebbero spendere molti soldi per acquistare i libri. Con il ricavato appoggiamo progetti di solidarietà ed infine aggreghiamo le persone. E forse, tra tutti, questo è quello più importante”. Chiedo come mai pensi che l’aggregazione sia l’aspetto principale e Carmine con sicurezza risponde “Abbiamo creato un luogo dove le persone si possono ritrovare, soprattutto ragazzi; il libro diventa un mezzo di aggregazione che distoglie l’attenzione dalle nuove tecnologie, che troppo spesso isolano, lasciando le persone sole e talvolta indifese”.
Abbandoniamo la città arrampicandoci su una bella mulattiera. La strada comincia a salire e lo farà per quasi tutta la tappa; dobbiamo raggiungere l’antico passo Tea, punto di unione della Lunigiana con la Garfagnana. La tappa segna l’abbandono della prima zona a favore della seconda che ancor ci deve svelare i propri segreti.
Raggiungiamo il paese di Certardola e lo superiamo arrivando in breve a Turlago. Percorrendo questo tratto passeremo accanto a Villa La Pescigola, una villa appartenuta ad alcune famiglie aristocratiche toscane, che dà oltre seicento anni abbellisce questi luoghi. La villa è soprattutto nota per il festival dei narcisi che si tiene ogni anno a marzo e che vede la fioritura di qualcosa come 450 mila bulbi.
A Turlago, in epoca medievale (ma probabilmente originato da precedenti fortificazione Liguri) sorgeva il castello di Montechiaro che dalla sommità del colle vegliava sulla valle del Rosaro e su quella dell’Aulella. Oggi non rimangono che poche macerie ma con esse sopravvive la leggenda del tesoro ritrovato. A raccontarmela è niente di meno che mia nonna materna, arzilla novantatrenne che, in gioventù, veniva ad accudire, proprio a Turlago, la di lei nonna ormai anziana. La storia, contornata da un’aura di leggenda, racconta di due contadini che impegnati a tagliar l’ebra nei campi, al sopraggiungere di un temporale, si ripararono nei ruderi del castello, all’epoca con qualche muro in più di quelli visibili oggi. Lì, mentre sistemavano gli attrezzi si accorsero che il pavimento della stanza suonava “vuoto” al battere, segno della presenza di una qualche apertura sottostante. Nessuno seppe mai che cosa i due contadini trovarono ma la nonna assicura che da quel giorno i due poterono comprare dei nuovi appezzamenti di terra, un podere e si trasferirono a vivere in un altro borgo dopo aver comprato casa. Sia che la storia riporti solo chiacchiere di paese sia che racconti la pura verità, la presenza di un tesoro rende la visita ai ruderi, facilmente raggiungibili, ancor più eccitante; e lo è ancor di più quando, girovagando per la collina, troviamo un pozzo di circa settanta centimetri di lato che sprofonda nel terreno per un paio di metri rivelando una stanza, ormai completamente riempita di terra. Che sia la stanza del tesoro?
Proseguiamo il viaggio scendendo verso l’abitato di Reusa dove nel 1965 fu rinvenuta, murata, una statua stele appartenente al Gruppo C. Databile intorno al VI-VII secolo A.C. presenta una forma più antropomorfizzata, con un busto rettangolare e testa circolare. Il viso, molto deteriorato, mostra il naso in leggero rilievo. Attraversiamo Vigneta e Castiglioncello. La parte antica del paese, che conserva intatta la sua struttura pressoché originaria, con le antiche mura del castello, inglobate in alcune abitazioni ancora visibili, merita di essere vista. Il consiglio è di perdersi nelle viuzze e di osservare bene gli architravi dei portoni, ce ne sono alcuni molto belli e suggestivi. Molto bello ed evocativo è il bassorilievo rappresentante un pellegrino, con tanto di bordone e conchiglia, che potremmo ammirare a circa due metri da terra nei pressi di una casa da poco ristruttura all’interno del borgo.
In pochi minuti ci troveremo alla Pieve di Offiano, dedicata a San Pietro, non visitabile causa inagibilità a seguito terremoto. La chiesa in stile barocco, stile che preso il posto di quello romano in una ristrutturazione del XVIII secolo, vede la sua fondazione tra l’XI e il XII secolo. Un richiamo importante per il nostro cammino è la presenza della figura di un pellegrino sul portale di accesso alla struttura. Ennesimo segnale, ma sempre importante e gradito che, seppur passando nel versante della Garfagnana la costante non cambia continuando a presentarci segnali evidenti legati alla vocazione viaria dell’intera zona.
Proseguiamo per un’antica mulattiera tra boschi di acacie e ben presto la valle sotto di noi si apre in tutto il suo splendore. Davanti a noi Regnano Chiesa, la nostra prossima meta, si profila in lontananza dandoci la direzione di cammino. Nonostante si proceda in salita la mulattiera è ben tenuta permettendoci di camminare al meglio senza problemi. Borgo di origine antichissime, Regnano, composto da tante piccole quartieri (Chiesa, Castello, Villa) fu uno dei primi feudi ad incastellarsi, anche se oggi del castello di Monte Fiore non restano che macerie. Feudo del vescovo conte di Luni prima per poi diventare dei Malaspina successivamente passo sotto Firenze.
Ci aspetta l’ultimo strappo che, sempre attraverso una mulattiera ci porterà fino al passo Tea, dove l’antico Hospitale, riportato alla luce da scavi archeologici, riposa accogliendo tutti i pellegrini che ancora oggi hanno voglia di passare per tributare un silenzio omaggio ad una struttura che per decenni ha accolto quanti, al sopraggiungere della sera, chiedevano ospitalità e un posto caldo dove passare la notte. La zona è stata ben ripulita e documentata; tramite una passerella in legno si riesce a percorrere l’intero perimetro della struttura e dalla posizione sopraelevata si possono leggere le successive aggiunte e trasformazioni.
Importante zona di passaggio ed ideale nodo di collegamento tra la Garfagnana e la Lunigiana, il passo era conosciuto fin da epoca romana, come testimoniato da resti recuperati nelle vicine praterie, mentre dell’hospitale si hanno notizie a partire dal XII secolo. Dipendente dalla Pieve di San Lorenzo il luogo di culto e di sosta scompare da qualsiasi documentazione a partire dal sedicesimo secolo.